Antonino Caponnetto Eroe contromano in difesa della legalità
Autore/i | a cura di Salvatore Calleri | ||
Editore | Diple Edizioni | Luogo | Firenze |
Anno | 2003 | Pagine | 108 |
Dimensioni | 22x23 (cm) | Illustrazioni | ill. a colori e b/n n.t. - colors and b/w ills |
Legatura | bross. ill. a colori - paperback | Conservazione | usato come nuovo - used like new |
Lingua | Italiano - Italian text | Peso | 500 (gr) |
ISBN | 8888082069 | EAN-13 | 9788888082066 |
Prezzo | 10.00 € | Sconto | 15% |
Prezzo scontato | 8.50 € |
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Presentazione di Andrea Camilleri.
Non l'ho mai conosciuto di persona. Mi accorgo d'avere scritto una frase che non corrisponde alla verità, sarebbe più giusto dire che non ci si siamo incontrati. Perché il Giudice Caponnetto posso dire d'averlo conosciuto attraverso quello che andava facendo nell'Ufficio Istruzione di Palermo e che i giornali solo parzialmente riferivano. Quando finalmente potei vedere in televisione com'era, due cose mi colpirono molto: la sua apparente fragilità fisica alla quale doveva corrispondere certamente una grandissima forza morale e il suo accento fiorentino. Avevo sempre pensato, per via di quel cognome così meridionale, che dovesse parlare tradendo una certa cadenza siciliana. Mi restò l'impressione di un signore d'altri tempi per i modi e le espressioni, ma sapevo ch'era solo un'impressione perché invece Caponnetto era attentissimo alla truce realtà dei nostri giorni. Voleva combatterla e sapeva pure come. Ebbi anche la certezza - e non l'impressione stavolta - che fosse un uomo giusto. Una specie in via d'estinzione che non solo non è protetta, ma di cui, ai giorni nostri, la caccia è libera e sempre aperta. Poi ci furono le stragi che levarono di mezzo Falcone e Borsellino e c'è un'immagine di lui che non riesco più a togliermi dagli occhi, mentre sale in macchina e pronunzia qualche stentata parola d'estremo sconforto. Il suo volto, le sue parole, in quel momento mi fecero molta paura. Una paura quasi fisica che mi spinse immediatamente a spegnere il televisore. Se uno come Caponnetto arrivava a toccare quel fondo di scoramento assoluto, pensai, allora tutto era veramente perduto. Ma già dalla celebrazione del funerale di Borsellino capii che quella sua forza interiore si era non solo ricompattata, ma aveva preso un nuovo slancio. E infatti continuò a combattere sino alla fine, non più nelle aule giudiziarie, ma nelle aule scolastiche, o dovunque fosse possibile, per spiegare cosa era la mafia, quale tremendo danno arrecava al tessuto vitale non solo della Sicilia, ma dell'intero nostro Paese.
Un giorno, tornando a casa, trovai nella segreteria telefonica un messaggio che testualmente diceva: "Sono un magistrato in pensione. Mi chiamo Caponnetto. Vorrei parlarle". Seguiva un numero telefonico di Firenze.
Quella sua inconfondibile voce: Confesso che non lo richiamai subito. Il rispetto che provavo per quel "magistrato in pensione" mi avrebbe fatto balbettare. Ero troppo emozionato, dovetti calmarmi. Poi composi il numero. Desiderava che io partecipassi a un certo incontro sul problema mafia. Accettai subito, grato. Mi disse in quell' occasione che, per disturbi alla vista, i miei libri era costretto a farseli leggere. Ma, proprio quando stavo per partire per Firenze, un imprevisto mi costrinse a Roma. A quel mancato incontro ci ho pensato a lungo, dopo. E sono arrivato alla conclusione che forse quell'imprevisto, con un poco di buona volontà, si sarebbe potuto superare. Ma questa buona volontà mi mancò. Come mai? Se avevo, come avevo, tanto desiderio d'incontrarlo, perché mi ero arreso così facilmente davanti a un ostacolo superabile?
E proprio mentre mi ponevo la domanda, ne ebbi la risposta: mi ritenevo assolutamente inadeguato.
Temevo di deluderlo. Quel poco che ho scritto sulla mafia è una faccenda, in fango, letteraria. Lui la mafia l'aveva invece vissuta e combattuta sul campo di battaglia, attraverso le indagini, i processi, le condanne.
Le atroci perdite. Esponendosi e pagando di persona. Io invece me ne ero stato comodamente seduto al mio scrittoio. No, la parola spettava a lui e ai suoi collaboratori. Appena uscita la mia "Biografia del figlio cambiato", che tratta dei rapporti di Luigi Pirandello col padre, gliela inviai. Mi arrivò, dopo qualche giorno, una sua lettera. Diceva, tra l'altro, che il mio libro l'aveva collocato in uno scaffale accanto a un libro di Pirandello, a lui molto caro perché gli era stato regalato dai suoi genitori. "Domine, non sum dignus" riuscii a dire ripiegando la lettera.
(Andrea Camilleri).
Note alle condizioni del volume
Usato come nuovo, dedica regalo all'anteporta, bruniture del tempo. (T-CA)
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