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Firenze

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Arnoldo Mondadori Editore Milano
1969 290
13x21 (cm) 23 ill. b/n - b/w ills
tela ed. sovracc. ill. colori - hardcover dustjacket Usato Ottime Condizioni - used very good
Italiano - Italian text   800 (gr)
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(Scrittori Italiani e Stranieri).

A partire da certi principi primi, le grandi civiltà organizzano le loro sedi, strutturano lo spazio spirituale che abitano, forniscono a chi opera e crea nel loro interno una ricca e sfumata gamma di strumenti espressivi, manipolando e articolando i quali ciascuno foggia il proprio linguaggio personale. E, poiché è stato soprattutto nel tessuto a maglia fitta del mondo urbano che le grandi civiltà hanno trovato la loro linfa, è nel volto, concreto e ideale, di alcune città, che possiamo cogliere, di esse - siano Atene, Roma o Firenze - l'impronta, e quasi la concrezione. Firenze di Emilio Cecchi è una "lettura" della civiltà fiorentina - quale si espresse nella pleiade di artisti da Giotto a Michelangelo ai Manieristi - sorretta dallo stelo non solo di una cultura vasta e di un gusto sottile, ma anche di quell'umile, antica consuetudine che si ha con le pietre, i quartieri, l'aria della città in cui si è nati. Introdotto da un famoso saggio sulla "fiorentinità", questo libro, che raccoglie gli scritti cecchiani su Firenze, nasce da un rapporto del tutto naturale e agevole tra l'autore e i suoi temi. Rapporto che sfocia in una sorta di atticismo familiare, dato dalla commistione del senso della misura caratteristico di uno scrittore come Cecchi e così congeniale a Firenze, e dalla percezione naturale delle figure e delle opere nel tessuto di un familiare cosmo cittadino, e insieme dalla coscienza dei valori universali che quelle figure e quelle opere rappresentano. Con autorità e naturalezza Cecchi ridefinisce, parlando di Giotto o dell'Angelico, di Leonardo o di Donatello, del Poliamolo o del Pontormo, i caratteri dell'arte fiorentina: l'intuizione di uno spazio misurato dal risalto dell'azione e dell'energia umane, il nitido e ostinato linearismo, l'elaborazione del reticolo prospettico. E quando poi, abbandonando le arti figurative, passa a discorrere del Boccaccio, del Magnifico o del Guicciardini, riesce senza nessuna rigidezza o forzatura a suggerire, al di là di questi grandi nomi, i collegamenti interni di una cultura e di una civiltà, di cui sa cogliere anche gli elementi di permanenza in epoche via via meno rigogliose, sino a riscoprire, nello scrupolo del modesto artigiano di oggi, la tradizione degli antichi "maestri" e delle antiche "botteghe". Firenze di Cecchi ci offre lo spettacolo di una città, e di un'arte altissima, riflesse, misurate, organizzate nello specchio di una mente e di uno stile limpidamente rigorosi e, diciamo pure, limpidamente "fiorentini". (T-CA)

 
 

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