La collezione Piero ed Elena Bigongiari il Seicento fiorentino tra 'favola' e dramma
Autore/i | Francesca Baldassari | ||
Editore | Federico Motta Editore | Luogo | Milano |
Anno | 2004 | Pagine | 240 |
Dimensioni | 23x30 (cm) | Illustrazioni | 105 ill. colori, 27 ill. b/n n.t. - colors and b/w ills |
Legatura | cart. edit. con sovracc. ill. colori - Hardcover with dustjacket | Conservazione | Nuovo - New |
Lingua | Italiano/Inglese - Italian/English text | Peso | 2100 (gr) |
ISBN | 8871794575 | EAN-13 | 9788871794570 |
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Piero Bigongiari non si considerava un collezionista. Diceva di essere, piuttosto, uno studioso appassionato della pittura fiorentina del Seicento e di avere radunato nella propria casa i dipinti di quella scuola, solo perché la visione quotidiana e diretta gli consentiva di poterli leggere e capire meglio.
Vedeva la propria raccolta come una sorta di laboratorio di studi e, spesso, l'acquisizione di un quadro prefigurava l'apertura di un nuovo fronte di ricerca. Questo desiderio di conoscenza si deve dunque intendere come un atto d'amore per la pittura fiorentina del Seicento, una passione imbattibile, mai bruciata, che lo ha accompagnato dall'inizio degli anni Sessanta sino al termine della sua esistenza.
La passione di una vita ci consente di ammirare oggi una magnifica collezione di oltre quaranta dipinti antichi, tra le più significative di quelle costituite nell'Italia del dopoguerra e la più importante raccolta privata nel mondo per la conoscenza del Seicento fiorentino, considerato il numero rilevante di opere notevoli dei suoi protagonisti e comprimari. Fra questi possiamo citare i nomi di Cristofano Allori, Mario Balassi, Giovanni Bilivert, Matteo Bonechi, Orazio Fidani, Agostino Melissi, Giovanni Mannozzi detto Giovanni da san Giovanni, Francesco Furini, Simone Pignoni, Francesco Montelatici detto Cecco Bravo, Felice Ficherelli, Ottavio Vannini, Lorenzo Lippi, Giovanni Martinelli, Vincenzo Dandini, Giovanni Montini, Onorio Marinari, Simone Pignoni, Livio Mehus, Anton Domenico Gabbiani, Giovanni Domenico Ferretti.
A partire dagli anni Sessanta, Bigongiari aveva iniziato a pensare - e a scrivere - che era giunta l'ora di contraddire la consolidata opinione di Firenze, come di una città culturalmente vitale solo nel Rinascimento, e vittima, poi, di un declino irreversibile. In realtà l'arte fiorentina del Seicento aveva mantenuto un forte carattere d'autonomia e d'originalità che meritava seria considerazione. A lungo negletta in Italia da collezionisti e da critici, questa pittura, e soprattutto quella del suo massimo protagonista Carlo Dolci, aveva suscitato l'entusiasmo dei viaggiatori inglesi del Settecento.
Nell'Ottocento, secolo poco idoneo ad apprezzare la pittura scura barocca, i dipinti fiorentini del Seicento continuavano a prendere la via dell'Inghilterra, nonché quella della Francia. Nel nostro paese, solo a partire dalla seconda metà del Novecento, si sono succedute, con intensità crescente, occasioni espositive e di studio, importanti per la riscoperta di questo periodo. Sono state tappe fondamentali che hanno trovato un culmine nella realizzazione della grande rassegna svoltasi a Palazzo Strozzi nel 1986-1987, di cui Bigongiari, insieme con Mina Gregori, fu ideatore e sostenitore.
Della sua amata pittura Piero ha colto per primo le peculiarità, scrivendo pagine indimenticabili sui sentimenti più intimi e segreti, sul modo di esprimere gli "affetti" da parte dei pittori barocchi fiorentini, soprattutto nei loro quadri da stanza. Protagonisti delle loro opere diventano i tormenti dell'anima, dilaniata tra ragione e sentimento, tra potere e limitatezza, tra felicità e disagio di vivere. Una delle fonti preferite è stata il racconto di storie antiche d'amore e di morte. I sentimenti più stremati ed eccessivi sono stati così nascosti sotto favole di diversa drammaticità, oppure estremizzati in scene grondanti di passione, oppure trattenuti e sublimati in immagini smaltate, in analogia con gli effetti raggiunti nella produzione del commesso delle pietre dure, che fu ed è una specialità fiorentina. Sono tempi in cui la ragione greca, cristiana e rinascimentale non esercita più il proprio magistero: il dubbio e il dramma si radicano nella coscienza dell'uomo. Nel Seicento Firenze era la patria di Galileo Galilei (1564-1642), vale a dire la culla della nuova scienza sperimentale. Intorno al 1609, Galileo aveva costruito il cannocchiale, lo aveva puntato verso gli abissi del cosmo e aveva scoperto quanto questo fosse popolato di pianeti, di satelliti, di stelle e di galassie. Mentre Galileo allargava i confini del cielo, i contemporanei pittori fiorentini avvertivano e registravano nella loro opera un uguale e opposto allargarsi dell'inconscio psichico, che finiva per mettere in crisi i dogmi dell'uomo geocentrico. E come l'uomo comprendeva di non essere più il centro dell'universo, ma solo una particella piccolissima, il pittore iniziava a farsi portavoce, sulla tela, della perdita di questa certezza, descrivendo la complessità e la contraddizione dei sentimenti umani. I dipinti del Seicento fiorentino raccolti nella collezione Bigongiari documentano proprio la grandezza e le peculiarità di quest'epoca.
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