Da Velazquez a Murillo Il 'siglo de oro' in Andalusia
Autore/i | a cura di Arsenio Moreno Mendoza | ||
Editore | Olivetti - Electa | Luogo | Milano |
Anno | 1993 | Pagine | 162 |
Dimensioni | 23x27 (cm) | Illustrazioni | ill. a colori e b/n n.t. - colors and b/w ills |
Legatura | bross. ill. a colori con alette - paperback | Conservazione | usato come nuovo - used like new |
Lingua | Italiano - Italian text | Peso | 1000 (gr) |
ISBN | 8843544225 | EAN-13 | 9788843544226 |
esaurito presso l'editore
Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 27 marzo - 27 giugno 1993.
Venezia - A parte forse il titolo, "Da Velazquez a Murillo. Il siglo de oro in Andalusia", la mostra che apre oggi le porte al pubblico all' Isola di San Giorgio di Venezia, promossa congiuntamente dal governo di Andalusia, dalla Fondazione Cini e dall' Olivetti, non ha nulla che la apparenti al gigantismo declamatorio di tante altre presunte "grandi mostre" italiane. E' una mostra, invece, pensata e pazientemente costruita, che attraverso un giusto numero di opere - una cinquantina - ripercorre le sorti della pittura in una delle principali regioni spagnole, com' esse si sono sviluppate nel cuore del secolo XVII. Quella regione era Cordova, era Granada, era Cadice, ed era soprattutto Siviglia: grande, popolosa città che aveva tratto dal suo ruolo egemone nel commercio con le colonie d' oltreoceano un nuovo e solido motivo per riaffermare il proprio primato fra le capitali di Spagna. Vi confluivano, anche e naturalmente, i pittori: e vi nacque una scuola che, nel corso del secolo più felice della pittura spagnola, mantenne suoi caratteri peculiari, in parte diversi da quelli di Madrid. Ricorda ora Arsenio Moreno Mendoza nel catalogo Electa della mostra veneziana come, ad esempio, nel gran rivolgimento comune verso un nuovo naturalismo che toccò a partire dal terzo decennio tutta la pittura spagnola "in fuga" dal manierismo, spettò a Siviglia, ove la committenza era soprattutto ecclesiastica, mantenere quell' adesione prevalente ad una tematica e ad una temperie stilistica religiosamente commossa che Madrid, sede della corte e dell' aristocrazia, andava subordinando a temi, istanze e sentimenti profani. Il rinnovamento del linguaggio non è ancora interamente compiuto nell' opera dei tre maestri che aprono la mostra: né nell' italianizzante Juan de las Roelas, né in Francisco de Herrera o in Francisco Pacheco, presso i quali pure si educa il giovane Velazquez. Che, concependo alla fine del secondo decennio il San Tommaso qui esposto, dimostra d' aver già compiuto intero lo strappo dalla cultura figurativa locale, attingendo forza da un "naturale" certo consapevole di Caravaggio. E questo San Tommaso, monumentale e insieme umanissimo, con il gran manto, il libro e la lancia pesante incongruamente posti nelle mani e sulle spalle di un ragazzo di strada, basta a dire da solo quale sarebbe stata l' influenza che Velazquez avrebbe potuto esercitare sulla pittura locale se fosse rimasto: ma partì, il 1623, per Madrid e per un altro destino. Rimase a governare le sorti pittoriche di Siviglia Francisco de Zurbaran che, quasi esattamente coetaneo di Velazquez, fu, almeno per lunga parte della vita, un maestro di eccezionale statura, capace d' unire, sotto una luce che scende a fiotti, accecante e implacabile sugli uomini e sulle cose, l' acribia ottica più cruda e impietosa al più commosso e lirico abbandono mistico. Dalla giovanile Vergine bambina assopita fino ad una delle ultime sue opere note, la Madonna col bambino di Bilbao, la mostra documenta ampiamente e bene, seppur rinunciando ai capolavori più noti, il percorso prima altissimo e circondato di riconoscimenti, poi toccato da un' interna crisi, di questo artista straordinario. Sulla metà del secolo, Siviglia patisce - ingigantite da alcune sue proprie tragedie, come l' epidemia che nel ' 49 ne dimezzò la popolazione - le sofferenze sociali, politiche ed economiche di tutta la Spagna. La sua capacità autonoma di voce, anche come capitale d' arte, si attenuò allora bruscamente: e maestri pur peritissimi come Juan de Valdés Leal o come Francisco de Herrera il Giovane mostrano di sentire ormai imperioso il fascino del linguaggio internazionale del barocco. Un' ultima grande figura si staglia allora sugli anni della pittura andalusa: ed è quella di Bartolomé Esteban Murillo. Di lui la mostra odierna s' occupa largamente: documentando quel suo modo di traghettare il naturalismo degli anni Venti e Trenta verso un approdo meno aspro, meno drammatico; verso una pittura che, senza disperdere il tesoro di verità che era stato la scoperta prima di Velazquez e di Zurbaran, quella verità sapesse rivestire di forme più serene e composte, come rasserenate da un nuovo ordine classicheggiante. Tramate di un colore leggero, impalpabile, infinitamente velato, le figure di Murillo sono, al pari di quelle del Reni tardo, uno degli esiti più alti del particolare classicismo che nutrì, a fianco del barocco, la pittura del Seicento europeo: un classicismo mai dimentico delle sue origini affondate nel nuovo sguardo posato sulla natura.
Usato come nuovo lievissimi segni del tempo (T-CA)
Potrebbero interessarti anche...