Francesco e Innocenzo Torriani Opere e vicende di due artisti del Seicento
Autore/i | a cura di Laura Damiani Cabrini e Anastasia Gilardi | ||
Editore | Museo d'Arte Mendrisio | Luogo | Mendrisio |
Anno | 2006 | Pagine | 202 |
Dimensioni | 23X29 (cm) | Illustrazioni | tavv. a colori e ill. b/n n.t. |
Legatura | bross. ill. | Conservazione | |
Lingua | Peso | 1400 (gr) | |
ISBN | 8885186343 | EAN-13 | 9788885186347 |
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Mendrisio, Museo d'Arte, 8 aprile - 18 giugno 2006.
L'esposizione organizzata dal Museo d'Arte Mendrisio, a cura di Laura Damiani Cabrini e di Anastasia Gilardi, si incentra sulle personalità dei pittori secenteschi originari di Mendrisio Francesco (1612-1683) e Francesco Innocenzo Torriani (1648-1700). La loro riscoperta si presenta come un importante tassello che si aggiunge al variegato mosaico di conoscenze sull'arte lombarda del Seicento. Padre e figlio, cui si deve la nascita della prima - in assoluto - bottega pittorica attestata stabilmente sul territorio della "Lombardia Svizzera", lavorarono attorniati da un cospicuo numero di allievi per soddisfare importanti commissioni destinate soprattutto ad edifici di culto. La loro opera, che non mancò di esercitare un impatto considerevole sulle vicende pittoriche in area insubrica fino ai primi decenni del Settecento, venne disseminata in tutta l'alta Lombardia: a Varese, Como, in Valtellina e in Valchiavenna. Ma la loro attività non si limitò alla regione lombarda; operarono anche per prestigiosi committenti in area tedesca, nei cantoni della Svizzera interna e alle abbazie dell'antica diocesi di Passavia, nella Bassa Baviera e nell'Austria settentrionale.
Se Francesco e Innocenzo Torriani godettero in vita di buona fama, come attestano i numerosi dipinti citati negli inventari delle migliori collezioni comasche e ticinesi, oltre alle importanti commissioni ricevute in ambito ecclesiastico, essa tuttavia si incrinò inspiegabilmente alla loro scomparsa. La loro notevole reputazione riecheggia ancora nei fondamentali dizionari d'arte tardosettecenteschi del Füssli e del Giovio, i quali contribuirono a delineare per entrambi una fisionomia artistica che oggi può in grandi linee essere confermata. Sia il Füssli che il Giovio sottolineavano gli addentellati della loro pittura con l'opera di Guido Reni, a tal punto - si dice - che i dipinti di Francesco venivano confusi con quelli del divino Guido, trovando così particolare fortuna nell'ambito nel collezionismo contemporaneo europeo, soprattutto inglese. Scarsamente considerati nel secolo successivo, allo studio dei due autori diede rinnovato impulso Giuseppe Martinola, le cui ricerche su Francesco e la bottega confluirono nella storica esposizione del 1958. Le curatrici si sono potute avvalere delle più vaste conoscenze filologiche e documentarie acquisite negli ultimi decenni sulla pittura del Seicento in area settentrionale, ciò che ha loro permesso di meglio valutare la produzione dei due artisti, e di costituire un catalogo di dipinti destinato nel tempo ad essere ulteriormente accresciuto.
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