Libreria della Spada - Una gloriosa gara nelle pagine di Francesco Arcangeli. L'oratorio di San Colombano Libri esauriti antichi e moderni. Libri rari e di pregio da tutto il mond

Una gloriosa gara nelle pagine di Francesco Arcangeli L'oratorio di San Colombano

Una gloriosa gara nelle pagine di Francesco Arcangeli L'oratorio di San Colombano
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Minerva Edizioni Bologna
2002 278
21x28 (cm) XX tavv. a colori num., ill b/n n.t.
brossura
  1400 (gr)
8873810276 9788873810278
 

momentaneamente non disponibile

(I Rapporti della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologico di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini. Nuova Serie: n. 4 a cura di Jadranka Bentini).

Il saggio che più di ogni altro apre all'interpretazione di un Ludovico Carracci progettista o quanto meno responsabile ideale di interni devozionali a Bologna, è riconosciuto in quella Gloriosa Gara che Francesco Arcangeli scrisse fra il 1957 e il 1958 sulle pagine della rivista 'Arte Antica e Moderna' parafrasando nel titolo la definizione malvasiana contenuta nella Felsina Pittrice, laddove lo storiografo si cimenta nella descrizione della sala superiore del complesso di S. Colombano, vale a dire l'oratorio con i riquadri contenenti la Passione di Cristo.

S. Colombano si era mossa come invenzione strategica di movenze confessionali, spazio prospettico entro il quale calare le scene illusive della storia della Passione, in grande questa volta, a confronto con l'altra palestra liturgica cittadina: quella miniaturizzata dei Misteri del Rosario della omonima Cappella di S. Domenico, dove il passo era risultato più tradizionale e insieme più colto nell'accogliere nomi di diverse generazioni di artisti.

Al centro dell'interpretazione arcangeliana della attività a più fronti di Ludovico, ispiratore e regista del ciclo, l'oratorio è divenuto il campione collaudato della nascente scuola pittorica bolognese dopo la partenza di Agostino e Annibale per Roma, un luogo appartato e schivo al centro del cattolicesimo di Controriforma.


L'oratorio, di antica storia e alterne fortune, ha ben poche menzioni nella storiografia locale dopo l'esaltazione del canonico Malvasia: lo stesso Corrado Ricci, pur gettando attenzione nel 1906 al tema spinoso della decorazione, non ne approfondiva gli aspetti attributivi, rimasti così abbozzati e tutto sommato irrisolti. Anche il grado di conservazione lasciò a lungo a desiderare, sicuramente per gran parte del Novecento, fino all'intervento degli anni '50 sollecitato proprio dalla attenzione critica di Arcangeli.
Non vi è dubbio che nel riportare lo sguardo su di una sede da tempo mortificata della città, le pagine dell'illustre studioso abbiano alluminato di una nuova interpretazione la versione di comodo malvasiana, incline a sottolineare il primato di Albani sugli altri carracceschi: da allora la lettura è stata aperta a più dettagliate definizioni come a schieramenti critici in favore di un autore piuttosto che di un altro, con ipotesi dubitative di una reale apparizione del Reni fra la schiera degli Incamminati, tuttora da provare per via documentaria.
Con il restauro più recente condotto da Ottorino Nonfarmale per conto della Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio dell'Emilia, è sembrato opportuno riproporre il testo integrale della Gloriosa Gara quale preambolo alla più recente letteratura artistica sulla schiera bolognese dei ludovichiani che negli ultimi trenta anni hanno goduto di una buona fortuna critica fino al dispiegamento di mostre tematiche o di gruppo dove i singoli protagonisti hanno figurato anche separatamente dal maestro.
I profili aggiornati degli artisti sono qui tracciati dagli studiosi che ne hanno più diffusamente percorso l'opera, anche in modo integrale: Stéphane Loire, Daniela Sinigalliesi, Fiorella Frisoni, Richard E. Spear, Nora Clerici Bagozzi, Marina Cellini, Armanda Pellicciari.
Per Ludovico Carracci valgono ancora le riflessioni e la ricostruzione critica operata da Andrea Emiliani nell'occasione della mostra monografica del 1993 che, raccogliendo i frutti delle precedente letture di Arcangeli e di Gnudi, ha sottolineato con appassionata convinzione le inclinazioni stilistiche del pittore votato alla sperimentazione incessante e al lavoro di collaborazione, da vero maestro d'arte e di vita.
Ma in questa sede è Francesco Arcangeli a dover emergere e ciò nel nome di Ludovico, poiché il binomio in questo caso è inscindibile e metonimico. Apre così la serie e introduce il testo Ezio Raimondi, con la sua consueta impeccabile prosa di interprete di lungo corso del Seicento pittorico emiliano.
La nuova campagna fotografica, posta a chiusura del volume e suddivisa in 20 tavole a colori, permette di apprezzare gli affreschi dopo i recenti restauri.

 
 

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